Scandinavia#8 Nell'ultimo diario ero arrivata a Bodø, la porta per le Lofoten. La mattina che partimmo per le isole più famose della Norvegia non potevamo immaginare che in realtà sono le isole più famose per i turisti italiani. Era il nostro viaggio di nozze, perciò l'avevamo pensata alla grande: alloggiare in una casa di pescatori, proprio come fanno le famiglie norvegesi. Avevamo appreso durante il nostro viaggio che gli autoctoni amano spendere fior di corone soggiornando alla rustica, fingendo cioè di vivere come i loro antenati pescatori in fredde baracche di legno dipinto di rosso - ahimé, ormai nessuno usa più l'olio di fegato di merluzzo per impregnare le assi. Le famiglie norvegesi, dicevo, trascorrono le vacanze bucoliche fingendo di non sapere che l'intero arredamento, dal tavolo sul terrazzino alla tenda della cameretta, proviene dalla magna IKEA e si gongolano in questa finta vita durissima, svegliandosi all'alba per uscire a pescare e percorrendo chilometri sui rocciosi sentieri che costeggiano le isole fino a che il sole è sufficientemente basso sull'orizzonte. Le Lofoten sono oltre il Circolo Polare Artico, e vi assicuro che si tratta di un sacco di tempo!
A proposito di notte artica. In quei tre giorni (e tre notti) dovetti attrezzarmi con un asciugamano scuro sugli occhi per poter dormire, poiché le tendine IKEA della casupola di pescatori erano davvero sottili e il giorno continuava per tutta la notte.
Ma andiamo con ordine. Sbascammo a Moskenes dopo una traversata di quattro ore su un traghetto che trasportava auto e camper di centinaia di turisti italiani. L'alternativa del traghetto veloce non era pensabile, perchè ci avrebbe portati troppo lontani dalla nostra destinazione ultima, il villaggio di Å i Lofoten nell'estremità meridionale delle isole. Å è l'ultima lettera dell'alfabeto norvegese e il villaggio si chiama così perché si trova al termine dell'unica strada che attraversa le isole da nord a sud. Una volta arrivati lì, o si parcheggia e ci si mette il cuore in pace, o si torna indietro.
La gente del nord è rude e maleducata, soprattutto la tipa alla reception del museo di Å i Lofoten. Å è bella da andarci in giro, ma passato l'entusiasmo iniziale, come tutti i villaggi dei pescatori e gli ospiti indesiderati, puzza. E puzza da morire: pesce, acqua stagnante, alghe e olio di fegato di merluzzo. La cosa che impressiona maggiormente sono le grida degli uccelli marini, coi quali si deve imparare a convivere. Non essendo mai buio, questi non dormono mai contemporaneamente e continuano a gridare, gridare e gridare giorno e notte. Perché gli uccelli marini non cinguettano, ma gridano come pazzi furiosi. Le case e i rorbue sono coperti di guano bianco e il villaggio, circondato dall'acqua e dagli scogli dove gli uccelli nidificano, è assediato giorno e notte.
Qualche nota turistica è d'obbligo. Il villaggio infatti è riportato nelle guide per il museo dei pescatori, l'olio di fegato di merluzzo e lo stoccafisso. Andiamo con ordine.
L'intero villaggio fa da museo. Da una parte molte case sono state riempite di vecchiume e paccottaglia per rappresentare la vita (!) dei poveri pescatori. Dall'altra gli alloggiamenti per i turisti sono ricavati dalle stesse strutture che ospitavano i pescatori stagionali, mantenendo l'immagine di un villaggio originale, anche se gli interni sono ridefiniti in stile IKEA. Diciamola tutta: i pescatori vivevano all'interno di queste baracche con le barche, le reti, le esche e i frutti della pesca, un po' come i nostri antenati vivevano con gli animali del cortile o il bestiame. Niente a che vedere con l'accogliente rorbua in cui abbiamo alloggiato, se si escludono le pareti esterne.
Queste casupole si chiamano rorbue (rorbua al singolare) e furono volute da un sovrano norvegese il quale si era accorto che la forza motrice della nazione (i pescatori di merluzzo) passavano la stagione della pesca dormendo all'adiaccio sotto le barche. Le case che adesso sono dipinte di un allegra vernice rossa, erano in realtà impregnate di olio di fegato di merluzzo della peggiore qualità (lo stesso con cui si impermeabilizzavano mantelle e stivali) e l'odore doveva essere terribile. Ad Å è rimasta la struttura della prima fabbrica di olio di fegato di merluzzo e posso testimoniare che il puzzo è impressionante. Loro dicono che ci si abitua, e così al sapore. Io resto scettica. Le case apparivano comunque rossastre, perché l'olio conferisce al legno questo colore, e la tradizione di dipingere di rosso le abitazioni della costa ha resistito negli anni. Comunque c'è da sfatare il mito della Norvegia come di una nazione all'avanguardia, lanciata nella modernità e nel progresso. Esattamente come da noi, questo aspetto è evidente nella capitale, come è evidente a Milano o a Bologna o in una grande città, ma nel resto del paese la gente sembra davvero tradizionalista, legata al passato e con una sensibilità per l'ambiente molto personale e a volte discutibile. Oltretutto la norvegia di grandi città ne ha davvero poche.
L'isola di Moskenes e il villaggio di pescatori sono uno dei luoghi più interessanti che abbiamo attraversato nel nostro viaggio, le Lofoten in generale meritano una visita se l'itinerario conduce nel nord del paese. Sarà piuttosto scomodo raggiungerle in alta stagione se si viaggia in auto, perchè da quello che abbiamo visto, le code per i traghetti sono lunghissime e potrà capitare di non trovare posto nell'orario desiderato. In effetti gli orari dei trasferimenti sono davvero scomodi da interpretare e molto vincolanti, perciò non è facile neanche se si viaggia senza auto. Non è un paese comodo per il viaggiatore a tappe obbligate e noi ci siamo trovati nella situazione di dover aggiungere un trasferimento aereo ai già numerosi voli del nostro viaggio, in quanto era l'unico modo per rientrare a Bodø (e quindi a Oslo, e quindi a Copenhagen) usando i voli prenotati. Noi non ne abbiamo avuto il tempo, ma il consiglio è di organizzarsi i voli e il viaggio da soli, come viene viene, ferie premettendo, e senza tour operator.
Durante una passeggiata verso la punta a sud dell'isola, oltre la fine della strada che terminaad Å, chi ti incontriamo al campeggio del villaggio? Ma i vichinghi di Bergamo, che viaggiando in senso opposto a noi (Oslo-Flåm-Bergen-Bodø) avevamo incontrato nuovamente nell'unica vera meta di tutti i visitatori della Norvegia - no, in verità l'unica vera meta è Capo Nord, ma dopo aver saputo che si tratta di un luogo deserto e neanche tanto carino in cui scattare una fotografia a pagamento l'avevamo escluso dal nostro viaggio. Con loro abbiamo trascorso qualche ora in allegria, sul terrazzino del rorbua mangiando dolcetti svedesi che i nostri ospiti hanno apprezzato tantissimo dopo giorni andati avanti a patatine dei sacchetti. Comunque non è che in Norvegia si mangia male perché tutto è caro e si cerca di risparmaire. No, si mangia male perché il cibo, anche comprandoselo da soli e guardando gli ingredienti, è davvero cattivo. A parte il salmone, che è lo stesso che acquistiamo in Italia, ma dopo un po' che mangi salmone, ne senti l'odore anche nelle lenzuola. Credo che fuoriesca dai pori, se lo si mangia per un tempo sufficiente.
Dopo un paio di giorni fra case di pescatori, scogliere a picco e camminate sui sentieri rocciosi venne il momento di lasciare Å e dirigerci verso Svolvær, l'approdo settentrionale delle isole.
La città di Svolvær merita solo un commento: è bruttissima. Abituati alla bellezza delle isole meridionali, restammo subito delusi dall'asperità del nord e dalla ridicola offerta turistica di quella che viene descritta come la località piu "urbana" delle isole. Vabbè, c'è il salto della capra, una originale formazione rocciosa visibile dal porto in cui alcuni scalatori malati di mente si cimentano in un salto di un metro sull'abisso, ma a parte questo c'è solo un grande albergo e un porto maleodorante.
Alla stazione degli autobus, unico luogo dove di domenica è possibile trovare del cibo dopo le sei di sera, ritrovammo ben nascosti dietro un carrello del supermercato i nostri amici vichinghi! Non sto scherzando: in quell'improbabile terzo incontro si meritarono una bella fotografia che gli spedii una volta tornati a casa - e devo dire che vennero piuttosto belli. Peccato che quella fu l'ultima volta che avemmo notizie da loro. Stavano andando verso la Finlandia: avevano nostalgia dell'euro ed erano a corto di corone, come noi. Anche loro trovarono in Svolvær una delle città più inospitali del paese e non vedevano l'ora che arrivasse l'autobus che li avrebbe condotti a nord, verso la stazione ferroviaria da cui avrebbero svalicato il confine verso la Svezia e poi ancora un altro confine, verso l'europa.
Anche noi ce ne andammo in fretta dopo un hot dog e una serata davanti alla TV. Fortuna che i film sono in VO e quella sera ne davano uno in lingua inglese (sottotitolato in norvegese). Seguendo i programmi TV imparammo che in Norvegia:
- la diffusione delle malattie sessuali è un grosso problema;
- anche con le gravidanze in giovane età non scherzano;
- non ci pensano due volte ad inquinare le falde acquifere;
- il cibo non è commestibile se prima non è fritto nella margarina;
- ogni catena di supermercati ha il suo bello spot televisivo.
C'è una cosa però per cui vale la pena passare per Svolvær: come scoprimmo la mattina seguente, lasciare le isole in aereo è un bellissimo modo di vederle. Dall'alto in estate le Lofoten sembrano un arcipelago tropicale, con lembi di spiagge bianchissime e fondali celesti che contrastano con la dura roccia delle montagne. In quella giornata, cominciata in modo così spettacolare, volammo alla volta di Bodø e poi di Oslo e infine di Copenhagen. Atterrammo verso le dieci di sera, avvolti nel buio del continente lasciandoci alle spalle la notte artica.
A proposito di notte artica. In quei tre giorni (e tre notti) dovetti attrezzarmi con un asciugamano scuro sugli occhi per poter dormire, poiché le tendine IKEA della casupola di pescatori erano davvero sottili e il giorno continuava per tutta la notte.
Ma andiamo con ordine. Sbascammo a Moskenes dopo una traversata di quattro ore su un traghetto che trasportava auto e camper di centinaia di turisti italiani. L'alternativa del traghetto veloce non era pensabile, perchè ci avrebbe portati troppo lontani dalla nostra destinazione ultima, il villaggio di Å i Lofoten nell'estremità meridionale delle isole. Å è l'ultima lettera dell'alfabeto norvegese e il villaggio si chiama così perché si trova al termine dell'unica strada che attraversa le isole da nord a sud. Una volta arrivati lì, o si parcheggia e ci si mette il cuore in pace, o si torna indietro.
La gente del nord è rude e maleducata, soprattutto la tipa alla reception del museo di Å i Lofoten. Å è bella da andarci in giro, ma passato l'entusiasmo iniziale, come tutti i villaggi dei pescatori e gli ospiti indesiderati, puzza. E puzza da morire: pesce, acqua stagnante, alghe e olio di fegato di merluzzo. La cosa che impressiona maggiormente sono le grida degli uccelli marini, coi quali si deve imparare a convivere. Non essendo mai buio, questi non dormono mai contemporaneamente e continuano a gridare, gridare e gridare giorno e notte. Perché gli uccelli marini non cinguettano, ma gridano come pazzi furiosi. Le case e i rorbue sono coperti di guano bianco e il villaggio, circondato dall'acqua e dagli scogli dove gli uccelli nidificano, è assediato giorno e notte.
Qualche nota turistica è d'obbligo. Il villaggio infatti è riportato nelle guide per il museo dei pescatori, l'olio di fegato di merluzzo e lo stoccafisso. Andiamo con ordine.
L'intero villaggio fa da museo. Da una parte molte case sono state riempite di vecchiume e paccottaglia per rappresentare la vita (!) dei poveri pescatori. Dall'altra gli alloggiamenti per i turisti sono ricavati dalle stesse strutture che ospitavano i pescatori stagionali, mantenendo l'immagine di un villaggio originale, anche se gli interni sono ridefiniti in stile IKEA. Diciamola tutta: i pescatori vivevano all'interno di queste baracche con le barche, le reti, le esche e i frutti della pesca, un po' come i nostri antenati vivevano con gli animali del cortile o il bestiame. Niente a che vedere con l'accogliente rorbua in cui abbiamo alloggiato, se si escludono le pareti esterne.
Queste casupole si chiamano rorbue (rorbua al singolare) e furono volute da un sovrano norvegese il quale si era accorto che la forza motrice della nazione (i pescatori di merluzzo) passavano la stagione della pesca dormendo all'adiaccio sotto le barche. Le case che adesso sono dipinte di un allegra vernice rossa, erano in realtà impregnate di olio di fegato di merluzzo della peggiore qualità (lo stesso con cui si impermeabilizzavano mantelle e stivali) e l'odore doveva essere terribile. Ad Å è rimasta la struttura della prima fabbrica di olio di fegato di merluzzo e posso testimoniare che il puzzo è impressionante. Loro dicono che ci si abitua, e così al sapore. Io resto scettica. Le case apparivano comunque rossastre, perché l'olio conferisce al legno questo colore, e la tradizione di dipingere di rosso le abitazioni della costa ha resistito negli anni. Comunque c'è da sfatare il mito della Norvegia come di una nazione all'avanguardia, lanciata nella modernità e nel progresso. Esattamente come da noi, questo aspetto è evidente nella capitale, come è evidente a Milano o a Bologna o in una grande città, ma nel resto del paese la gente sembra davvero tradizionalista, legata al passato e con una sensibilità per l'ambiente molto personale e a volte discutibile. Oltretutto la norvegia di grandi città ne ha davvero poche.
L'isola di Moskenes e il villaggio di pescatori sono uno dei luoghi più interessanti che abbiamo attraversato nel nostro viaggio, le Lofoten in generale meritano una visita se l'itinerario conduce nel nord del paese. Sarà piuttosto scomodo raggiungerle in alta stagione se si viaggia in auto, perchè da quello che abbiamo visto, le code per i traghetti sono lunghissime e potrà capitare di non trovare posto nell'orario desiderato. In effetti gli orari dei trasferimenti sono davvero scomodi da interpretare e molto vincolanti, perciò non è facile neanche se si viaggia senza auto. Non è un paese comodo per il viaggiatore a tappe obbligate e noi ci siamo trovati nella situazione di dover aggiungere un trasferimento aereo ai già numerosi voli del nostro viaggio, in quanto era l'unico modo per rientrare a Bodø (e quindi a Oslo, e quindi a Copenhagen) usando i voli prenotati. Noi non ne abbiamo avuto il tempo, ma il consiglio è di organizzarsi i voli e il viaggio da soli, come viene viene, ferie premettendo, e senza tour operator.
Durante una passeggiata verso la punta a sud dell'isola, oltre la fine della strada che terminaad Å, chi ti incontriamo al campeggio del villaggio? Ma i vichinghi di Bergamo, che viaggiando in senso opposto a noi (Oslo-Flåm-Bergen-Bodø) avevamo incontrato nuovamente nell'unica vera meta di tutti i visitatori della Norvegia - no, in verità l'unica vera meta è Capo Nord, ma dopo aver saputo che si tratta di un luogo deserto e neanche tanto carino in cui scattare una fotografia a pagamento l'avevamo escluso dal nostro viaggio. Con loro abbiamo trascorso qualche ora in allegria, sul terrazzino del rorbua mangiando dolcetti svedesi che i nostri ospiti hanno apprezzato tantissimo dopo giorni andati avanti a patatine dei sacchetti. Comunque non è che in Norvegia si mangia male perché tutto è caro e si cerca di risparmaire. No, si mangia male perché il cibo, anche comprandoselo da soli e guardando gli ingredienti, è davvero cattivo. A parte il salmone, che è lo stesso che acquistiamo in Italia, ma dopo un po' che mangi salmone, ne senti l'odore anche nelle lenzuola. Credo che fuoriesca dai pori, se lo si mangia per un tempo sufficiente.
Dopo un paio di giorni fra case di pescatori, scogliere a picco e camminate sui sentieri rocciosi venne il momento di lasciare Å e dirigerci verso Svolvær, l'approdo settentrionale delle isole.
La città di Svolvær merita solo un commento: è bruttissima. Abituati alla bellezza delle isole meridionali, restammo subito delusi dall'asperità del nord e dalla ridicola offerta turistica di quella che viene descritta come la località piu "urbana" delle isole. Vabbè, c'è il salto della capra, una originale formazione rocciosa visibile dal porto in cui alcuni scalatori malati di mente si cimentano in un salto di un metro sull'abisso, ma a parte questo c'è solo un grande albergo e un porto maleodorante.
Alla stazione degli autobus, unico luogo dove di domenica è possibile trovare del cibo dopo le sei di sera, ritrovammo ben nascosti dietro un carrello del supermercato i nostri amici vichinghi! Non sto scherzando: in quell'improbabile terzo incontro si meritarono una bella fotografia che gli spedii una volta tornati a casa - e devo dire che vennero piuttosto belli. Peccato che quella fu l'ultima volta che avemmo notizie da loro. Stavano andando verso la Finlandia: avevano nostalgia dell'euro ed erano a corto di corone, come noi. Anche loro trovarono in Svolvær una delle città più inospitali del paese e non vedevano l'ora che arrivasse l'autobus che li avrebbe condotti a nord, verso la stazione ferroviaria da cui avrebbero svalicato il confine verso la Svezia e poi ancora un altro confine, verso l'europa.
Anche noi ce ne andammo in fretta dopo un hot dog e una serata davanti alla TV. Fortuna che i film sono in VO e quella sera ne davano uno in lingua inglese (sottotitolato in norvegese). Seguendo i programmi TV imparammo che in Norvegia:
- la diffusione delle malattie sessuali è un grosso problema;
- anche con le gravidanze in giovane età non scherzano;
- non ci pensano due volte ad inquinare le falde acquifere;
- il cibo non è commestibile se prima non è fritto nella margarina;
- ogni catena di supermercati ha il suo bello spot televisivo.
C'è una cosa però per cui vale la pena passare per Svolvær: come scoprimmo la mattina seguente, lasciare le isole in aereo è un bellissimo modo di vederle. Dall'alto in estate le Lofoten sembrano un arcipelago tropicale, con lembi di spiagge bianchissime e fondali celesti che contrastano con la dura roccia delle montagne. In quella giornata, cominciata in modo così spettacolare, volammo alla volta di Bodø e poi di Oslo e infine di Copenhagen. Atterrammo verso le dieci di sera, avvolti nel buio del continente lasciandoci alle spalle la notte artica.
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